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Dominati dall’organizzazione siamo in affanno di fronte all’imprevisto. Accogliere è diventato difficile perché non c’è spazio in case già piene. La piccola speranza quotidiana è che non arrivi nessuno e che non capiti niente. Il contrario vale solo per anziani e persone sole, a volte rassegnati a non essere più visitati. «Accogliere chi?». 

Dominati dall’informazione siamo in affanno di fronte all’incognito e all’invisibile. Temiamo quello che non vediamo, più che esserne incuriositi. Il virus è diventato il nemico universale, il bersaglio di una guerra che semina panico, perché costringe a sparare nel buio: «invisibile!». 

L’accoglienza è una disposizione spirituale sempre precaria perché si forma nella debolezza e nella povertà della condizione umana. Non sono i ricchi ad accogliere i poveri, ma solamente coloro che sanno di essere altrettanto poveri, vulnerabili, esposti all’incertezza in ogni momento.

L’accoglienza inizia con l’apertura mentale con cui si affrontano gli interrogativi. Studio e ricerca sono allenamento della mente all’apertura sugli imprevisti e sull’invisibile. I dialoghi e gli insegnamenti offerti nella prima infanzia e gli esercizi scolastici successivi possono avviare aperture mentali e predisporre all’accoglienza. È la partenza con cui affacciarci sul domani, sicuramente diverso da quanto vediamo e sappiamo oggi. 

Non nascondere e proteggere dall’imprevisto, ma preparare ad accoglierlo è il compito concreto dell’amore per i piccoli, per i giovani che si affacciano sul mondo del lavoro e dell’impegno sociale, per chi attende la diagnosi di una gravidanza o di una malattia, per anziani e ammalati terminali.

Il mondo non è ancora nato, sta nascendo! Auguri!

Don Giuseppe Pellegrino